Le imprese familiari rappresentano il cuore pulsante dell'economia italiana. Secondo uno studio di Cerved, in Italia le famiglie controllano il 70% delle piccole imprese, il 57% delle medie e il 36% delle grandi aziende. Questo dimostra quanto il modello proprietario familiare sia diffuso, anche al di là delle sole piccole imprese.
Le aziende familiari si distinguono dalle altre per una serie di caratteristiche uniche. Tra gli aspetti più positivi, emerge l’attenzione ai valori sociali, alle relazioni e alla longevità dell’impresa, un fenomeno che gli studiosi hanno definito “socio-emotional wealth”. Questo si traduce in un approccio orientato al lungo termine, alla stabilità delle relazioni con dipendenti e clienti, e a una maggiore sensibilità verso tutti gli stakeholder. Le imprese a gestione familiare incarnano così un modello di capitalismo paziente, non ossessionato dai rendimenti a breve termine, ma attento agli equilibri patrimoniali, incline agli investimenti e focalizzato sulla sostenibilità della comunità locale.
Tuttavia, il controllo familiare può comportare alcune sfide che, se mal gestite, rischiano di diventare problematiche serie. Le questioni più delicate riguardano la successione generazionale, l'inclusione di manager esterni e l'apertura agli investitori istituzionali.
Il successo o il fallimento del modello di impresa familiare dipende da come questi aspetti vengono affrontati all'interno delle singole realtà aziendali. Ad oggi, non ci sono risposte universali su come la gestione familiare influisca sui risultati economici. Tuttavia, considerata l'importanza delle imprese familiari nel sistema economico italiano, è essenziale affrontare questi temi in maniera approfondita.
Un nodo cruciale è proprio la successione generazionale, che rappresenta una sfida non solo per le imprese italiane ma per tutte quelle a livello globale. I dati del Research Institute di Credit Suisse dimostrano che le aziende familiari performano meglio in termini di rendimenti azionari con la prima e la seconda generazione, mentre i risultati tendono a peggiorare con le generazioni successive. Garantire il successo dell'impresa da una generazione all'altra richiede una visione strategica: occorre valutare se i membri della famiglia siano davvero motivati e capaci di generare valore, oppure se sia meglio separare la relazione familiare dal business, specialmente nei ruoli dirigenziali. In quest'ultimo caso, è fondamentale creare le condizioni per integrare manager esterni, trasformando la diversità in un’opportunità di crescita piuttosto che in un ostacolo.
Una visione altrettanto chiara è necessaria quando si tratta di relazioni con gli investitori istituzionali. La crescita, l’innovazione e l’internazionalizzazione richiedono spesso risorse finanziarie esterne, che non sempre sono reperibili attraverso l’autofinanziamento o il credito bancario. In questo contesto, i fondi di private equity possono svolgere un ruolo chiave non solo in termini di capitale, ma anche per il loro contributo alla crescita manageriale delle aziende. I fondi di investimento condividono spesso con l’imprenditore l’obiettivo di far crescere l’impresa e aumentarne il valore. Tuttavia, la negoziazione può essere complessa a causa di tematiche legate alla governance, al controllo aziendale e a clausole contrattuali come il drag along. Superare queste difficoltà richiede uno sforzo per creare un linguaggio comune e sviluppare contratti condivisi, promuovendo così un rapporto più armonioso tra finanza e imprese familiari, oltre che tra investitori e progetti industriali.
Ma come si possono affrontare queste sfide? Noi di ConsultinGO crediamo fermamente che sia necessario promuovere una cultura condivisa dell’impresa familiare attraverso la formazione e la ricerca. Solo così sarà possibile rendere più solide e resilienti le nostre aziende familiari, contribuendo direttamente alla crescita e alla stabilità dell’economia italiana.